Il Carciofo, l’ottavo Re di Roma

Il suo nome scientifico è “Cynara Scolymus”, a ricordo della sfortunata fanciulla che sottraendosi alle avances di Giove fu trasformata in una pianta spinosa. L’origine etimologica della parola deriva dall’arabo “al-kaharshûf”. Marilyn Monroe fu nel 1949 la prima reginetta eletta nel festival apposito che si tiene ogni anno a Castroville in California e Pablo Neruda (premio Nobel per la Letteratura nel 1971), gli dedicò un’ode. Si consumava abitualmente già al tempo degli Egizi ed era molto amato all’epoca dei Romani che lo mangiavano lessato in acqua od in vino, come del resto testimoniano gli scritti di alcuni autori come Columella (in De Rustica), Plinio (in Naturalis Historia) ed Esiodo (in Opere e giorni).Notizie certe sulla sua coltivazione in Italia risalgono al ‘400, quando la coltura del carciofo dalla Campania si diffuse fino in Toscana, per poi arrivare anche in Francia, terra d’elezione di Caterina de’ Medici che ne era particolarmente ghiotta.Nel Medioevo il carciofo cambiò status. Non più considerato “cibo per poveri”, come lo definiva Eratostene di Cirene, ma ornamento per sculture, simbolo con riferimenti alchemici, diventò motivo decorativo dei capitelli che sostenevano la cattedrale di Chartres.Oggi è il simbolo della cucina tradizionale, il goloso fiore primaverile per eccellenza.Ci sono molte varietà di carciofo, raggruppabili secondo diversi criteri. In base alla presenza o meno delle spine si distingue fra varietà “spinose” ed “inermi”; a seconda del colore del capolino si classifica la varietà “violetto” e quella “verde” ed infine in base al comportamento nel ciclo fenologico i carciofi si diversificano fra quelli autunnali e quelli primaverili.Vanno annoverate nelle varietà più famose lo “Spinoso Sardo”, coltivato anche in Liguria, regione che lo valorizza durante il periodo primaverile come ingrediente base della torta pasqualina, il “Catanese”, il “Verde di Palermo”, la “Mammola Verde”, il “Romanesco”, il “Violetto di Toscana”, il “Precoce di Chioggia”, il “Violetto di Provenza” ed il “Violetto di Niscemi”.Eternato già dagli Etruschi nelle tombe di Tarquinia, con la sua forma peculiare, tutt’oggi ispira pittori come Massimo Catalani che fa di questo ortaggio uno dei motivi più cari alla sua arte.Ha accompagnato da tempo immemorabile la cultura gastronomica delle popolazioni del Centro Italia ed è diventato un ingrediente fondamentale della dieta mediterranea. Dagli antipasti ai primi piatti, dai secondi ai contorni, la ristorazione offre una vasta selezione di pietanze che impiegano il carciofo. Particolarmente apprezzati nelle classiche ricette, la “carciofo-mania” ha portato all’elaborazione di portate sofisticate adatte ai palati più esigenti. Fritto, ripassato in padella, arrosto, bollito, sott’olio, al vapore, ce ne è davvero per tutti i gusti.C’è una precisa tecnica per la pulitura dell’ortaggio. Il gambo si deve eliminare tutto od in parte, a seconda di come lo si vuole cucinare. Si scartano le foglie esterne e si taglia la parte superiore di quelle rimanenti, lasciando solo quella chiara. Poi si taglia la punta, si tornisce il fondo scartando la scorza dura e fibrosa. Prima di procedere alla tagliatura a spicchi si deve scavare leggermente il fondo per togliere il fieno. Per non farlo annerire è essenziale che il carciofo rimanga durante la pulitura e prima di essere cucinato in acqua con succo di limone. Attenzione però, il coltello utilizzato per la pulitura deve essere rigorosamente in ferro affilato.Il carciofo romanesco è senza spine, verde, primaverile ed è anche detto “cimarolo” o “mammola”.La Coldiretti lo definisce come avente “forma sferica, compatta, con foro all’apice, colore dal verde al violetto, diametro non inferiore a 10 cm. Esso viene coltivato e raccolto da gennaio a maggio in alcuni comuni delle province di Viterbo, Roma e Latina”.Il carciofo romanesco è il principe della cucina ebraico-romana di cui un classico senza tempo è la ricetta del carciofo alla giudia (a seguire).Nel nostro territorio è Ladispoli a vantare sul carciofo il marchio di De.Co., cioè prodotto a denominazione comunale. Ogni anno in primavera, esattamente ad aprile, c’è infatti la sagra del carciofo, giunta nel 2015 alla sua 65° edizione.La coltura dell’ortaggio a Ladispoli iniziò nel 1930 con due qualità: “Castellammare” molto precoce e “Campagnano” che maturava tardivamente. Dalla seconda guerra mondiale la coltivazione del carciofo divenne intensiva in tutte le aziende limitrofe. Da qui il boom vero e proprio, derivante dalle basse spese di lavorazione ed dall’ottima resa qualitativa e quantitativa. D’altronde il territorio si presta tutt’oggi alla coltivazione di questo ortaggio, grazie alle favorevoli condizioni climatiche.Non limitiamoci però solo al gusto ed al piacere del palato, il carciofo ha anche importanti proprietà digestive, diuretiche ed epatoprotettive. Contiene calcio, manganese, potassio, fosforo, ferro, vitamine A e C. Nelle foglie e nello stelo troviamo la “cinarina”, una particolare sostanza in grado di favorire la diuresi renale ed il transito intestinale.Anche nella cosmesi il carciofo offre un prezioso contributo. Il suo succo tonifica la pelle ed è molto efficace per contrastare la foruncolosi, l’orticaria e le irritazioni cutanee. Insomma un vero e proprio cocktail di principi attivi utili per il corpo e la salute.Forse perché si diceva particolarmente caro alla dea Venere, gli sono state attribuite anche proprietà afrodisiache. Il Mattioli, a metà ‘500, scriveva nei suoi “Discorsi”: «[…] dei carciofi cotti nel brodo di carne si mangia con pepe nelle mense e con valanga per aumentare i venerei appetiti».Aromaweb